Vedere è come abbaiare

Ieri mi è arrivata la riedizione di un classico: “Colazione sull’erba” di Luigi Ghirri, riproposto da Mack (oltre alle foto dell’originale ce ne sono un centinaio dall’archivio).

Naturalmente è bellissimo e non è il caso che stia qui a dire il perché, ci sono saggi ovunque da leggere. È anche molto utile da avere in casa: non dico come un apribottiglie o un aspirapolvere, ma comunque utile perché produce il classico e liberatorio: «Ok tutto questo l’ha già fatto lui 40 anni fa, meglio passare oltre».

In un modo o nell’altro, senza volerlo, Ghirri lo copiamo tutti - uno dei molti Ghirri che si sono succeduti nell’arco di quei pochi anni: il suo è uno stile entrato nell’immaginario collettivo, almeno per noi italiani. Anzi fin troppo, è diventato un cliché, perfettamente instagrammabile, come tutte le cose che erano rivoluzionarie un tempo, ma non troppo tempo fa. Negli anni ‘70 io ero ragazzino e provavo a fotografare nello stile che allora era di moda (meglio non dire come…), Ghirri non lo conosceva nessuno e se allora l’avessi visto l’avrei schifato. Per fortuna poi ho smesso di fotografare per 40 anni e quando ho ricominciato, magicamente fotografavo “come lui” (vabbe’, non proprio, è per capirsi).

L’idea che vediamo o scattiamo “seguendo la nostra ispirazione” è in buona parte una sciocchezza: vediamo al 95% quel che conosciamo già, il restante 5% ci fa paura o schifo o non lo vediamo nemmeno. E per lo più ci piace quello che sta nella nostra comfort zone percettiva, ci “emoziona” quello che ci fa salivare e fare bau come il cane di Pavlov - il vero eroe dei nostri tempi, tra l’altro. Insomma, oggi sarebbe meglio fotografare come sarà di moda tra 40 anni, non com’era rivoluzionario 40 anni fa.
O almeno come è attuale oggi, non pretendiamo tanto.

Ma ecco che così siamo di nuovo fregati: Il faut être absolument moderne è un imperativo che si autosmentisce, come il caso Ghirri e infiniti altri dimostrano: crea una dialettica tra cool e kitsch e tra individuo e massa che si morde la coda, per non parlare dell’elemento disgustoso e coprofilo implicito nell’idea di un’aristocrazia del gusto e nell’isteria dell’autentico e della copia. Come diceva l’esimio: «La gente fa di tutto per distinguersi dagli altri, cioè dalla gente. Ma volersi distinguere dagli altri è ciò che in definitiva accomuna tutti, è insomma ciò che distingue l’esser gente. Quindi più la gente prova a distinguersi dalla gente, più lo diventa». (Giulio Bartolomeo Argano, La persona distinta e l’anonimato come stile di vita, Laterza, Bari, 2026, pag. 2038).

Ma se ora non volessimo più essere assolutamente moderni, vuol dire che lo saremmo ancora di più (siamo passati anche da qui, e Ghirri stesso è tra quelli che ci hanno portati nel postmodernismo per la porta più stretta, quella del doppio, del meta, del labirinto, insomma di Borges). Quindi non se ne esce. Oppure siamo già lontanissimi? Dove siamo, esattamente? Voi lo sapete? Siamo come i due militi che ci guardano da dietro il cane, nella foto qui sotto - o come il tizio a destra che si è imbucato all’ultimo momento sospettando qualcosa: guardiamo fisso e non abbiamo la più pallida idea di cosa ci stia accadendo. L’unico che forse sa qualcosa è il professor Pavlov, che infatti guarda il cane.

Using Format